Le linee di Nazca sono uno dei misteri del mondo, e ancora oggi non si è sicuri di quello che rappresentavano né di come siano state tracciate. Le 13 mila linee visibili sul terreno dell’arido altopiano che si estende tra le città di Nazca e Palpa, sono di epoche diverse, databili tra il 200 a.C. e il 600 d.C. ed hanno forme che vanno da semplici linee fino a sagome di animali, stelle e figure mitologiche.
Gli studi più attendibili dicono che il loro scopo fu innanzitutto quello di essere punto di riferimento per i pellegrini in visita al complesso religioso pre-Inca di Cahuachi, un insieme di templi e piramidi in cui si facevano offerte religiose e sacrifici umani, per poi diventare luogo prescelto per compiere rituali. Le linee sono fatte tecnicamente in un modo semplice, scavando e mettendo i detriti ai lati, ma la cosa strana ovviamente, è capire come abbiano potuto farle considerando che sono visibili dal cielo o da posizioni molto alte. Una bella esperienza unita alla visita, fatta con un taxi del luogo insieme ad una simpatica famiglia di Torino, Paola, Gino e Federico, al complesso di Cahuachi, tra l’altro restaurato da Giuseppe Orefici, un italiano che vive da trent’anni a Nazca, e al fantastico acquedotto, ancora oggi in uso dalla popolazione per l’approvvigionamento dell’acqua.
Intanto continua il mio controverso rapporto con gli indigeni. Molti gli elementi negativi: in tutto il percorso fatto, ho avuto difficoltà ad abituarmi alla trascuratezza degli alberghi che a fronte di prezzi anche alti offrono servizi a volte assai scadenti. E parlo di hotel non di ostelli.
In tutto il Perù il traffico e la confusione regnano sovrani anche per la presenza di bancarelle in strada, di camion strombazzanti, di tuk tuk che hanno loro regole stradali, di pedoni che sbucano da tutte le parti I peruviani riescono a fare confusione già quando si incontrano in tre su una strada. Di contro, non c’è nessun rispetto per i pedoni (le strisce pedonali esistono, ma probabilmente sono invisibili).
Quanta povertà: il Perù è un paese con un grosso potenziale e un progressivo sviluppo che però vive ancora di contrasti estremi. In ogni città incontrata si passa dai quartieri “in” e “occidentali” a quartieri completamente abbandonati al loro destino dove l’igiene e i servizi di base mancano completamente e la povertà non la si deve trovare è lì davanti ai tuoi occhi.
Il machismo è ancora fortemente presente, ma qui a Nazca, per la prima volta, ho visto una donna guidare uno scooter e una donna guidare una moto.
I ritardi. Per i Peruviani il termine “Ahorita” indica un lasso di tempo che può variare tra i due minuti e l’infinito. Il loro è un “ritardo cronico” perchè proprio non ce la fanno ad essere puntuali. I peruviani non hanno una educazione ambientale, la maggior parte di loro vanno in giro con furgoncini/ bus che chiamano combi, tutti, ma dico tutti, suonano il clacson sempre, se si fermano, se ripartono, se gli va, insomma in qualsiasi occasione con il risultato di una confusione e un rumore demenziale.
Penso proprio che il mio rapporto con il Perù non sia proprio di grande amore, e sono sicura che non sarà mai il mio più grande amore, ma più passano i giorni e più capiscoo le ragioni e i pregi di questo popolo così diviso e così diverso. La fierezza delle etnie più antiche, prime fra tutti i Quecha, ho imparato a vederla nei poverissimi paesi che ho attraversato e forse per questo ogni tanto mi sono arrabbiata per l’arroganza di un albergatore o di un impiegato. Questo paese non si fa amare immediatamente, ha un passo un po’ più lento ma certamente ha un grande cuore che si svela quando stai in mezzo agli umili, quando mangi per strada con loro o nei loro piccoli ristorantini o quando ti siedi a parlare per strada. In questi momenti scopri l’umanità e la fierezza, di questa gente.
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