DAY 52: ULAAN BATOR – Mongolia

La Mongolia mi è piaciuta subito. forse perché in Russia nei giorni precedenti non avevo visto il sole, anzi avevo visto solo pioggia e ancora pioggia, forse per il caldo tepore con cui mi ha accolto, forse per le distese di verdi campi o per il colore del cielo.
Lungo la strada che dal confine russo porta a Ulan Bator, circa 350 chilometri, di tanto in tanto si vedono alberi il cui tronco è rivestito di strisce colorate, sulla sommità di qualche collina cumuli di pietre sono sormontati da un palo ricoperto da preghiere, e queste cose mi hanno fatto pensare di essere arrivato in un posto magico. Anche se la religione principale è il buddismo tibetano, il panteismo ancestrale mongolo dedica una particolare attenzione al culto della natura, rivolgendo la devozione alla terra, al fuoco, ai fiumi e specialmente alle montagne.

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E’ molto sentito il culto degli Ovöö che sono proprio questi cumuli di pietre, che ho visto lungo la strada, che vengono arricchiti da ogni passante con un nuovo sasso o un piccolo oggetto e perfino sigarette e danaro o cocci di bottiglie. Il viandante dopo aver deposto il suo dono compie tre giri in senso orario attorno all’Ovöö, prima di proseguire il suo viaggio.
Mi sono piaciuti anche i mongoli, anche quelli che alla frontiera hanno messo le dita ovunque sulla mia moto e mi è piaciuto anche il loro modo di fare, benchè un tantino impiccione e opportunista.

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Sono per lo più bassi e camminano quasi barcollando, con i loro stivali di peltro e (qualcuno) con la loro tipica palandrana. Le donne sono davvero intraprendenti, infatti in men che non si dica sono riuscite a mettersi per prime nella fila in frontiera superandomi con indifferenza, ma appena ho fatto cenno dell’ingiustizia nei miei confronti, hanno rimesso le cose al posto giusto. Certamente tentano di fare le furbe però lo fanno sorridendo e l’espressione del viso diventa ancora più bonaria ed affabile. E poi sono tutte contro il potere costituito, più di una volta al passaggio di qualche funzionario di frontiera, non hanno esitato a fare sberleffi appena questo si è girato. Segno di una qualche insofferenza nei confronti delle frontiere…. E qui mi somigliano.

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Ulan Bator, anzi Ulaan Bataar è una grandissima città, che sorge all’improvviso dal nulla. La periferia, come in tutte le grandi città, si estende per un bel po’ di chilometri e tra le case possono ancora vedersi un’enorme quantità di yurte, mentre in centro spiccano numerosi grattacieli e palazzi dall’architettura avveniristica. Le strade sono perennemente occupate da auto e mezzi, e tutti sono pronti a strombazzare, ma compostamente. Mi sono accorto che difficilmente commettono scorrettezze o tentativi di fare qualche furbata. Anche i pedoni, a frotte soprattutto in centro, restano in enormi file ad aspettare il verde del semaforo. Una particolarità sta nel fatto che ho avuto l’impressione che molte auto viaggiassero senza autista, per via del fatto che importano direttamente auto (immagino usate) dal Giappone e la maggior parte di esse ha la guida a destra.
In centro si notano una quantità davvero notevole di giovani o giovanissimi, tutti studenti, ma questi sono ormai uniformati al target mondiale che li vede tutti uguali e se non fosse per gli zigomi sporgenti e gli occhi a mandorla, difficilmente si capirebbe di essere a Ulan Bator.

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