Dall’Iran al Turkmenistan…
Siamo arrivati in Turkmenistan dopo una trafila allucinante di ben cinque ore tra le due frontiere.
Il Turkmenistan a noi è sembrato un paese in cui prevale il vuoto, ma non per via del deserto o dei grandi spazi che lo caratterizzano, ma per l’assenza totale di sentimenti e di energia vitale. La capitale Asgabhat è un insieme interminabile di palazzi di marmo bianco, perfetti ma freddi e, a tratti, tetri. La città è attraversata da immensi viali, sontuose dimore, fontane spettacolari, costruzioni e statue incredibilmente scenografiche ma anche spettralmente esagerate.
Nessuno per strada, nessun bambino, nessun mercato, nessun negozio, nessun vociare. Un inquietante silenzio interrotto dal fruscio di ramazze di donne che spazzano perfino le autostrade. Anche le poche persone incontrate, hanno mantenuto questo distacco, quasi un fastidio per lo straniero, in una fredda indifferenza che a me è sembrata anche vuota solitudine.
L’unico momento pieno del calore a cui io e Coco eravamo abituati, è stato il viaggio nel deserto per vedere i crateri di Darvazda, che ardono da 50 anni senza interruzione.
Durante il percorso, la sera a cena davanti alla Yurta e la notte in tenda, abbiamo di nuovo condiviso il valore dell’incontro insieme alle nostre guide, un senso di grande fratellanza gustando chicken preparato sulla brace, guardando il fuoco del cratere, la luna e un cielo come mai avevo visto.